di Alberto Baldazzi

    “Prevenzione e riduzione del danno: percorsi decisivi per la Sanità Pubblica”

    D.- Professore, il recente riconoscimento dell’obesità come specifica patologia –   primo caso in una legislazione nazionale – , è certamente una buona notizia e potrà auspicabilmente dotare il Servizio Sanitario Nazionale di uno strumento in più nell’ambito della prevenzione primaria, oltre che per le diagnostiche precoci. Sappiamo infatti che errati stili di vita e un’alimentazione ipercalorica producono anche a partire dall’infanzia, anzi direi soprattutto dall’infanzia, seri problemi per la salute. Come vede questa iniziativa

    F. B. Ma,  è uno storico passo avanti nella lotta all’obesità. Il Senato ha approvato in via definitiva la proposta di legge 741 della XIX legislatura di iniziativa dell’Onorevole Roberto Pella, che  si occupa di obesità, diabete, malattie croniche non trasmissibili. La legge Pella riconosce ufficialmente l’obesità come una malattia cronica e ne inserisce le prestazioni, questo è fondamentale, nei Livelli Essenziali di Assistenza, nei LEA, garantendo così una presa in carico della questione da parte del Servizio Sanitario Nazionale.

    Fabio Beatrice, già Direttore della struttura complessa di otorinolaringoiatria dell’Ospedale San Giovanni Bosco presso il quale ha a lungo diretto il Centro antifumo,  docente presso I’Università di Torino.

    D.- È auspicabile che alla presa in carico e all’introduzione nei LEA consegua anche una capacità del Servizio Sanitario Nazionale di star dietro a questo LEA e ai tanti altri che vengono spesso disattesi in molte regioni…

    F. B. Sì, è vero, perché in realtà l’offerta sanitaria del nostro Paese si dimostra molto avanzata nelle acuzie e nelle patologie più gravi, ma deficitaria nella prevenzione e negli screening. Nel caso della prevenzione dell’obesità e del sovrappeso bisogna mettere particolarmente a fuoco la questione della prima infanzia, la promozione per esempio del allattamento al seno – che è un altro aspetto estremamente importante- fino al sesto mese, proprio per la prevenzione dell’obesità infantile, e poi occorre programmare un’educazione alimentare per famiglie e scuole. In sostanza dovrebbero essere i genitori a insegnare lo stile di vita, perché se noi vediamo cosa succede a livello di regno animale – pensiamo per esempio alla famiglia dei leoni – , sono proprio le leonesse ad insegnare  ai piccoli come nascondersi e  come sopravvivere Quindi è fondamentale un sostegno alle famiglie.  Ovviamente è fondamentale che ciò sia abbinato ad attività sportiva e ad una adozione in generale di corretti stili di vita, e quindi occorre fare campagne di informazione. Conviene, diciamo, aiutare molto le persone, le scuole, le famiglie, proprio per affrontare questo tema che è andato un po’ nel dimenticatoio, nel senso che il benessere dell’immediato dopoguerra ha portato forse a un esagerato consumo di risorse alimentari, proprio in reazione alla fame della guerra.  Però, adesso, vanno recuperati quelli che sono dei valori biologici propri della nostra specie.

    D.- Professore, passando ad un altro potenziale strumento nella cassetta degli attrezzi della sanità pubblica, lei è il Direttore scientifico del MOHRE,  l’osservatorio mediterraneo sulla riduzione del danno.  Su quali ambiti si  concentra la vostra attività?

    F. B. Ma,  noi ci occupiamo dello stile di vita in generale e quindi parliamo di alimentazione, fumo, alcol, attività fisica; però il taglio che diamo a questi argomenti è  quello che, pur mirando al risultato migliore possibile, non sottovaluta quelli che sono momenti di cambiamento e anche piccoli progressi che possono  rientrare in un progetto di cambiamento più ampio. Infatti è inutile a  tutti i costi cercare di arrivare rapidamente alla medaglia d’oro olimpica, a volte anche un buon piazzamento può costruire un futuro per una medaglia d’oro…

    D.- Ma anche una medaglia di legno, è già qualcosa? 

    F.B. Certo, certo, e pensando soprattutto alla difficoltà che riguarda tantissime aree, non solo l’alimentazione ma anche il fumo di tabacco, sicuramente di fronte ad un non risultato nel contrasto ad una serie di stili di vita non appropriati, ci sta anche il concetto di fare delle proposte che siano effettivamente ricevibili per chi le dovrebbe ricevere. Le linee guida indicano sempre quello che è il top, però il problema è che non tutti sono pronti a ricevere il massimo della indicazione medica. Quindi bisogna cercare di adattarsi e fare una proposta che sia ritagliata sulla pelle della persona che deve riceverla. 

    D.- Nello specifico delle malattie tabacco correlate, nell’ultimo decennio il  mercato dei nuovi strumenti che superano la combustione, ovvero le sigarette elettroniche ed  il tabacco riscaldato, si è molto sviluppato. A suo giudizio è questo un caso in cui le politiche di riduzione del danno possono portare risultati concreti, e cosa ci dice in proposito la letteratura scientifica internazionale?

    F. B. Sì, qui c’è una grossa questione che riguarda da una parte quello che dice la letteratura internazionale di altissimo livello – parliamo di Nature, Lancet, e parliamo di Cochrane, parliamo dei contributi del Ministero della Salute della Gran Bretagna – , e dall’altra parte  invece di posizioni ideologiche. Quando si tratta di dipendenze, infatti,  purtroppo le persone si dividono. Gli scienziati e gli studiosi dovrebbero attenersi ai dati. Ora è dimostrato in maniera certa da dati inequivocabili che in n paese come la Svezia dove,per esempio è stato introdotto lo snus in sostituzione della sigaretta, o la Gran Bretagna dove la sigaretta elettronica è  stata considerata uno strumento utile alla sanità pubblica,  beh, questo ha prodotto dei risultati veramente importanti. In Svezia nell’uomo il cancro al polmone è sceso da 20 a 5 punti perché gli uomini, nella tradizione vichinga. hanno cominciato a utilizzare lo snus. Questo nelle donne, che invece hanno perseverato nel fumo, non è successo, ed il cancro al polmone è rimasto ai livelli precedenti. In Inghilterra l’introduzione della sigaretta elettronica quale strumento utile alla sanità pubblica ha portato a un drastico abbassamento del tasso dei fumatori.  Quindi,  questi due paesi che che hanno fatto un’apertura alla riduzione del rischio dimostrano che l’introduzione di prodotti che non modificano la dipendenza alla nicotina, ma eliminano la combustione, è un qualcosa che in qualche modo depotenzia la fedeltà alla sigaretta e quindi apre delle nuove finestre di opportunità. Quindi,  a nostro modo di vedere, questa è una cosa che merita attenzione scientifica e clinica, perché può salvare veramente moltissime vite in tutto il mondo.

    D. Ricordiamo che Atlas Tobacco, ma lo stesso Ministero della Sanità, denunciano 93 mila morti l’anno in Italia per malattie tabacco correlate. Ma malgrado molte evidenze, ad alcune delle quali Lei ha appena  fatto riferimento, o l’esempio del Giappone dove il tabacco riscaldato nel giro di sette anni ha  dimezzato il consumo di tabacco combusto, l’apertura  a questi strumenti che superano combustione è a macchia di leopardo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità mostra un forte scetticismo se non una vera e propria chiusura e l’Italia, mi sembra di poter dire, la segua a ruota…

    F. B. Purtroppo il problema è che indurre un cambiamento attraverso regole estremamente rigide non funziona. Ad esempio, passando al ruolo della leva fiscale, è dimostrato  da dati molto recenti pubblicati nel 2024 nel 2025, che l’aumento delle accise sta determinando in Europa un generale aumento dei consumi illegali che adesso sfiora il 10%. Ora i consumi illegali utilizzano  prodotti che, oltre a ridurre l’introito nelle casse dei vari stati perché non sono tassati, evidentemente sono anche non controllati,  e ciò nel caso dei prodotti che utilizzano nicotina come, per esempio, le sigarette elettroniche, rappresenta un rischio estremamente importante. Infatti, mentre sui prodotti che sono legalmente in commercio noi abbiamo delle certezze dal punto di vista della  tossicità, invece tutto quello che arriva  dal contrabbando e dal mercato nero non ha nessunissimo controllo e rischia di aumentare ulteriormente la tossicità. I nuovi prodotti vanno comunque valutati sotto un duplice aspetto: il primo è quello della possibile trasformazione del mercato dei prodotti combusti in un mercato di consumo della nicotina non combusto: in questo modo non si rimuove il problema della dipendenza,  ma si elimina la tossicità da combustione che  – è dimostrato –  è la causa delle principali malattie: cancro, ictus, infarto e complicazioni di diabete, allergie e tantissime altre patologie.  L’altro aspetto è che all’interno di un setting di cessazione molto serio che segue le regole delle linee guida per i pochi che vengono nei centri antifumo  (perché purtroppo nei centri di antifumo arrivano meno di 10.000 persone  su 12 milioni di fumatori, quindi una percentuale talmente risibile da non poter considerare  quella dei centri antifumo una proposta di sanità pubblica. anche se la loro leadership è innegabile nella lotta al tabagismo)  e nell’ambito di una proposta di cessazione,  poiché si sa che sono più le proposte che tendono a fallire di quelle che riescono,  quando si è arrivati allo zoccolo duro di resistenza del tabagista,   a questo punto e soltanto in questi soggetti si può provare una strategia di riduzione del rischio e quindi a sostituire le sigarette residuali con una sigaretta elettronica che poi, nel tempo, possa progressivamente abbassare il tasso di nicotina e quindi disinteressare il fumatore dal fumo. Credo che questo impiego della sigaretta elettronica come seconda linea di trattamento in caso di fallimento, debba essere preso in  considerazione.  Comunque c’è un grande interesse scientifico su questi prodotti senza combustione, perché è vero che non risolviamo completamente la questione della dipendenza, ma salvare molte vite è un obbligo che comunque da un punto di vista deontologico riguarda sicuramente l’attività medica.

    D.- Ecco Professore: lei parla per così dire a ragion veduta. perché nella sua diretta esperienza come fondatore e direttore del centro antifumo dell’ospedale San Giovanni Bosco di Torino, per la cessazione del consumo di tabacco combusto ha operato con questa impostazione. Quale ruolo hanno avuto i nuovi strumenti? Sono stati utili per la cessazione, o comunque  per diminuire il  consumo del tabacco combusto? 

    F.B. La strategia di utilizzo della sigaretta elettronica in realtà era stata sperimentata già in uno studio che noi avevamo fatto con l’Istituto Superiore di Sanità nel 2014 e pubblicato nel 2015. In questo studio noi avevamo dimostrato che pilotando uno switch completo a fumo elettronico con gli strumenti dell’epoca  –  e, quindi non efficienti come quelli attuali-   il parametro clinico del monossido  di carbonio aspirato, che è il parametro target della combustione, si normalizzava nei soggetti che facevano uno switch completo in breve tempo, fino a renderlo sovrapponibile a quelli normali.  Coloro che invece non riuscivano perché fortemente resistenti a fare uno switch completo,  evidenziavano comunque un forte miglioramento di questo parametro: quindi, anche con l’uso duale  si osservava una riduzione della tossicità. Abbiamo anche misurato, in uno studio pilota  condotto con assoluta obiettività e garanzia di certezza,  che il tasso di nicotina utilizzato  dal fumatore non cambiava,  quindi non aumentava. Ora anche in questo ambito  purtroppo c’è una misperception, una confusione enorme. Molti ancora oggi sono propensi a ritenere che la nicotina sia cancerogena, ma questa è una fake news: la nicotina certamente non è cancerogena, mente  il cancro è dovuto ai prodotti della combustione. Il discorso è estremamente complesso,  ma occorrono appunto iniziative come questa conversazione di cui le sono grato,  per  diffondere concetti corretti.  Noi non crediamo che servano delle forzature o delle indicazioni cogenti; crediamo che la gente debba essere correttamente informata, mentre  leggere alcune notizie anche in assise ufficiali dalle  quali addirittura si paventa una pericolosità della sigaretta elettronica   superiore a quella della sigaretta normale, è scientificamente assurdo.  Certo, se andiamo su prodotti che vengono craccati il discorso è diverso,  ma se andiamo su prodotti correttamente commerciati siamo assolutamente in un campo di tutta sicurezza. Ad oggi, infatti, non ci sono dati scientifici  sulla  tossicità della sigaretta elettronica in soggetti che l’hanno utilizzata,  quindi non si comprende perché purtroppo taluni si prestino alla diffusione di fake news. L’unica  ragione che io posso ipotizzare è quella di una lotta alla dipendenza che non tiene però per niente conto proprio dei  meccanismi specifici della dipendenza, e che comportano una forte difficoltà ad avviare il cambiamento e una resistenza anche alla possibilità di essere aiutati.

    D.- Questa opposizione,  definiamola preconcetta,  ai nuovi  strumenti,  sembra non interessarsi di  un dato di realtà drammaticamente oggettivo: i 93 mila morti ogni anno e il peggioramento della qualità della vita per chi, fortunatamente, magari arriva a 100 anni dopo aver fumato per 80, ma in condizioni di salute e con una qualità della vita assai precarie. E come se la sanità pubblica non volesse vedere….

    F. B. E’ così, anche perché la sigaretta elettronica in certe situazioni sembra  essere diventata un’arma di distrazione di massa, per non parlare dalla sigaretta combusta tradizionale,  che resta il  problema fondamentale. Perché si parla sempre di elettronica o degli altri strumenti? Ci sono ormai dati a bizzeffe che ormai datano dal 2015 sulla utilità e sulla tossicità residuale della sigaretta  elettronica che, certo,  non è un prodotto sano e salutare, ma utile per i forti fumatori  che non  riescono a smettere. Il problema è che se purtroppo anche  i medici non sono in grado di comprendere e di spiegare queste cose in maniera chiara e con aderenza scientifica,   poi ai decisori rischiano di arrivare delle informazioni falsate per ragioni ideologiche o di altra natura, e questo non ha alcun senso. Non stiamo qui a fare la guerra a qualcuno, dovremmo stare qui a cercare di aiutare quelli che fumano, si ammalano e muoiono.

    D. Medici che, tra l’altro, in una percentuale  molto ampia sono essi stessi  fumatori e non si pongono  l’obiettivo  di smettere…  

    F.B. Sì, questo è ancora un altro problema nel problema.  La questione è che va combattuto il fumo di sigaretta, perché la percentuale dei fumatori di sigaretta è quella più alta. Inoltre ci sono una serie di  studi che smentiscono un’altra informazione che viene fornita da molti media, secondo cui la  sigaretta elettronica “arruola” i giovani: dove c’è un’informazione corretta questo non  avviene, anzi il reclutamento dei giovani è bassissimo e quindi bisogna essere equilibrati,  saper leggere i lavori e le ricerche e, soprattutto, smetterla con  le fake news,  perché in giro ce ne sonogià  troppe. 

    D.- Quindi la riduzione del danno, anche per le patologie tabacco correlate,  dovrebbe rappresentare uno strumento importante per la Sanità pubblica…

    F.B. Ne sono convinto.

    D. Professore, la ringrazio per questa conversazione.

    ARTICOLO 32, agenzia di stampa iscritta in data 5 novembre 2025 al n. 116/2025 del Registro Stampa del Tribunale di Roma

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