Il mondo della sigaretta elettronica aderente a Confindustria guarda con apprensione alla imminente Cop 11 di Ginevra e alla proposta di revisione della direttiva sul tabacco dell’Unione europea. Conversazione con Umberto Roccatti, Presidente Anafe

    di Alberto Baldazzi –

    D.- Roccatti, per molti osservatori,  ricercatori e clinici una delle frecce all’arco della lotta al tabacco e all’impatto disastroso del tabagismo sulla salute di milioni di consumatori è proprio quella rappresentata dalla sigaretta elettronica, oltre che dagli altri strumenti che superano la combustione. Dall’osservatorio della Confindustria di Anafe, l’associazione sul fumo elettronico che lei presiede, come si valuta l’evoluzione dei consumi a 15 anni dalla comparsa del vaping (in Italia?)

    Roccatti –  La sigaretta elettronica arriva in Italia nel 2010 per rispondere a una situazione molto semplice: il 91% dei fumatori non riesce o non vuole smettere di fumare e non esistono di fatto strategie di salute pubblica per queste persone, perché il mantra dell’Istituto Superiore di Sanità e delle nostre istituzioni sanitarie negli ultimi vent’anni è stato semplicemente  quello della cessazione, che è sicuramente la strategia più efficace per un fumatore,  ma sappiamo che è anche molto difficile da raggiungere. Abbiamo 12 milioni di fumatori di cui il 91% non aveva di fatto una soluzione al suo problema. La sigaretta elettronica nasce quindi come strumento per ridurre il rischio, per continuare quel gesto che per il fumatore è un’indulgenza ma con delle conseguenze anche molto gravi, per trasformarlo con un rischio molto ridotto.

    All’inizio la tecnologia non era delle più sviluppate, quindi non c’è stata un’introduzione massiva della sigaretta elettronica. A partire dal 2020 sono arrivati i device di nuova generazione, ma soprattutto c’è stata la consapevolezza anche da parti degli utenti dell’uso dei flavor, delle sostanze aromatizzanti diverse dal tabacco che sono molto più efficaci in un’ottica di traslazione e di uscita del fumo combusto. Adesso la sigaretta elettronica è utilizzata da quasi 4 milioni di fumatori in Italia,  ed è uno strumento che ha potenzialmente un impatto enorme sulle condizioni di salute delle persone.

    D. – Gli ambienti e i soggetti che manifestano a diversi livelli una chiusura verso i nuovi strumenti che superano la combustione, rimandano alle storiche responsabilità delle major del tabacco, multinazionali che propongono una modifica nei consumi attraverso gli scaldatori di tabacco e la sigaretta elettronica con l’obiettivo, però, di mantenere forti i volumi di fatturato, ammantando tutto ciò di dubbi riferimenti alla minore pericolosità e alla riduzione del danno. In proposito una constatazione e una domanda. Prima la constatazione.

    Il mondo del vaping è popolato soprattutto da piccole e medie aziende nate negli ultimi decenni che nulla hanno a che vedere con le multinazionali del tabacco…

    Roccatti –  Questa narrazione di cui parlava è assolutamente fuorviante e completamente distaccata dalla realtà. Oltre il 92% del mercato della sigaretta elettronica in Italia è fatto da piccole e medie imprese italiane con una filiera completamente distribuita sul territorio dalla produzione, la distribuzione e il retail,  e quindi tutta questa narrativa, una narrativa se vogliamo molto ideologica, anche un po’ populista, non trova assolutamente nessun riscontro con la realtà. E anche la narrativa di questo marketing aggressivo che è sempre stato associato con un certo modo di fare delle multinazionali del tabacco, soprattutto nel passato, mi permetto di dire che non esiste, nel senso che noi abbiamo dei divieti di pubblicità assoluti sui media, abbiamo dei divieti di vendita ai minori, abbiamo una distribuzione vincolata e sotto regime autorizzativo e quindi non trova riscontro nella realtà;  magari fa scrivere qualche riga un po’ roboante sui giornali, ma la realtà è completamente diversa.  Si tratta di una filiera italiana che è un’eccellenza in Europa,  e di  un sistema distributivo assolutamente garantista.

    D.- Passiamo alla domanda, la riduzione del danno legata alla minor pericolosità dei nuovi strumenti è qualcosa di reale, di scientificamente provato,  o solo uno slogan che accompagna le strategie produttive e distributive delle aziende del settore?

    Roccatti – In questo ambito  è la scienza che parla – lo diceva Mattarella pochi giorni fa – , non usiamo l’ideologia, usiamo la scienza, i fatti. Ormai è incontrovertibile, approvato da decine di studi internazionali indipendenti, che la sigaretta elettronica è almeno del 95% meno dannosa del tabacco combusto e,  mi permetta di sottolineare,  almeno del, non fino al: un numero di prudenza. Quindi si parla di un salto quantico.  Ovviamente questa strategia  non è priva di rischi; l’unica strategia priva di rischi è la cessazione che però, come abbiamo visto,  funziona per molto pochi.  Ma oramai ci sono degli studi di medio e lungo periodo (almeno 15 anni), che affermano che eliminando la combustione si eliminano tutte le sostanze che hanno un impatto letale, cancerogeno, sul corpo umano. Tolta la combustione, ed  in più usando dei veicolanti farmaceutici – perché la maggior parte degli ingredienti dei liquidi da svapo sono di ingredienti farmaceutici – ,  il prodotto è enormemente più sicuro.  Lo  dimostra la Cochrane, cioè la revisione degli studi scientifici, che è di recente uscita segnalando i 200 studi internazionali indipendenti che hanno coinvolto oltre 50 mila persone, e che afferma che  la sigaretta elettronica è lo strumento più efficace per smettere di fumare, confermando  una tossicità ridotta di 20 volte,  ovvero del 95 per cento.

    D.- Roccatti, l’incrocio tra la Cop  11 a Ginevra e la proposta delle nuove direttive dell’Unione Europea sul tabacco rappresenta uno snodo cruciale, perché l’equiparazione tra tabacco combusto e nuovi strumenti per quanto riguarda il trattamento fiscale,  e la sottovalutazione delle politiche di riduzione del danno incombono sull’intera  evoluzione del mercato. Qual è la posizione di ANAFE, quali rischi intravedete?

    Roccatti –  Con massimo rispetto istituzionale che abbiamo sempre avuto e continuiamo ad avere, vogliamo far presente alle istituzioni che è inutile fare il famoso beating cancer plan fatto dall’Unione Europea, ovvero di arrivare al 5% di fumatori nel 2040,  senza poi avere gli strumenti. Comunque, anche nel beating cancer plan dell’Unione Europea c’è un articolo che recita che  la sigaretta elettronica può essere uno strumento efficace per smettere di fumare, con l’attenzione a che non si utilizzino questi strumenti  in modalità che facciano risultare   quei prodotti particolarmente attraenti per i minorenni, questa è  un’accortezza fondamentale. Quindi, una legislazione fiscale proporzionata e con la dovuta differenziazione sarebbe una win win.  Noi che operiamo in questo settore proponiamo una win win alla politica: riduzione del numero di fumatori, riduzione dell’impatto sulla salute pubblica, e allo stesso tempo non chiediamo supporti o incentivi statali. Al contrario, siamo soggetti ad accise, non solo alle ordinarie tassazioni come tutte le imprese, ma anche ad accise ad hoc, quindi forniamo anche un contributo alle casse  degli stati.  Vogliamo semplicemente una differenziazione basata sul livello del rischio che è enormemente minore. Riteniamo  quindi che non deve essere disincentivata la sigaretta elettronica, altrimenti non si risolveranno mai i problemi sanitari, non si raggiungeranno mai gli obiettivi della Sanità pubblica.

    D.- Lei accennava al problema dei giovani, ho una domanda in proposito.Al  mondo del vaping viene addebitato un eccesso di attrattività proprio per i più giovani che inizierebbero a utilizzare la sigaretta elettronica, per poi passare al tabacco combusto. Cosa dice Anafe in proposito? 

    Roccatti –  A livello internazionale si definisce get away effect, ovvero che la sigaretta elettronica recluterebbe  svapatori  che poi diventano fumatori di sigarette tradizionali. Questo è assolutamente falso e smentito da innumerevoli ricerche scientifiche. Comunque il tema dei minori esiste, ma non esiste solo da oggi, esiste da sempre. Un  tempo i minori fumavano,  e fumavano in enormi quantità;  ci sono ormai studi di lungo periodo in cui si evidenza che il numero dei minorenni che ha utilizzato almeno una volta un  qualsiasi prodotto da fumo negli ultimi vent’anni è drasticamente diminuito. Ad ogni modo bisogna aumentare la protezione dei giovani. L’Unione Europea vorrebbe mettere un flavor ban, ovvero il divieto di utilizzo di aromi che siano diversi da quelli del tabacco, ma  questo è un assurdo e mi permetto di spiegarlo. II minorenne in primo luogo già oggi non può comprare un prodotto da svapo, perché è vietato per legge, quindi  se lo consuma già agisce illegalmente, attraverso un canale illegale: o è rifornito illegalmente da un negoziante scorretto,  oppure – come avviene nel 90% dei casi –  compra illegalmente su internet e specialmente da siti internet stranieri, perché in Italia la vendita online di prodotti con nicotina è completamente vietata. Se ciò già avviene per alcuni giovani, a cosa risponde la strategia dei divieti,  perché vietare anche ad un adulto fumatore che ha un beneficio dalla sigaretta elettronica, magari utilizzando gli aromi: cosa c’entra questo con la   protezione di un minorenne che già compra illegalmente? Si tratta di un’assoluta follia! Esistono altri strumenti:  intensifichiamo le regolamentazioni;   vietiamo l’utilizzo di immagini sui packaging dei prodotti che possano attirare i minorenni;  vietiamo l’online a livello europeo, non solo l’italiano,  perché sappiamo che il mondo digitale non è un mondo a chiari confini, Infatti ci sono siti esteri che vendono in lingua italiana in tutti i paesi che confinano con il nostro. Cerchiamo di introdurre  delle politiche pragmatiche, aumentiamo le pene per un rivenditore che vende a un minorenne, aumentiamo i controlli. Ma non pregiudichiamo uno strumento efficace contro il tabagismo per un adulto fumatore resistente, altrimenti c’è solo una conseguenza:  creeremo un mercato illegale enorme, sconfinato con un ulteriore pericolo:  i prodotti nel circuito legale sono prodotti testati per 6 mesi prima di essere messi sul mercato attraverso  di analisi chimica dei prodotti e dei vapori emessi, mentre i  prodotti sui circuiti legali non si sa cosa contengono.  Quindi,  oltre a un rischio finanziario, perché nell’illegale lo Stato non incassa accise, esiste un rischio sanitario collegato a prodotti non controllati.

    D.- Roccati, la ringrazio per questa conversazione.

    Roccatti –  Grazie a lei e grazie a tutti gli ascoltatori.

    ARTICOLO 32, agenzia di stampa iscritta in data 5 novembre 2025 al n. 116/2025 del Registro Stampa del Tribunale di Roma

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