di Alberto Baldazzi
D- . Professoressa, la giornata mondiale del diabete che si celebra il 14 novembre ci permette di ricordare che nel nostro paese sono 4 milioni i cittadini che quotidianamente si confrontano con l’iperglicemia: che sia di tipo 1 o 2 – nel primo caso legato a un quadro principalmente genetico, nel secondo a stili di vita o al deperimento di alcune funzioni organiche – , il diabete è dunque un compagno ingombrante per molti italiani, e non solo per quelli di età matura o avanzata. Lei è la Presidente della SID; dall’osservatorio della Società Italiana di diabetologia, come si valuta l’offerta sanitaria e le evoluzioni farmacologiche e tecnologiche nell’area di queste patologie?

Buzzetti- . Grazie per la domanda, l’argomento è molto importante. Purtroppo negli ultimi 20-25 anni c’è stato un incremento esponenziale del diabete mellito, soprattutto del diabete di tipo 2, ma anche del diabete di tipo 1, che come ricordava è una malattia autoimmune, che quindi rimanda ad una patogenesi completamente diversa. Perché questo cambiamento, questo incremento esponenziale, non solo in Italia, ma in Europa e nel mondo intero? La causa sono i cambiamenti dello stile di vita, la riduzione dell’attività fisica in generale, le modifiche nell’alimentazione. E questo è avvenuto non solo nel mondo occidentale, ma anche nei paesi definiti in via di sviluppo, che hanno visto un incremento proprio per il cambiamento dell’alimentazione: molti più grassi saturi e zuccheri semplici.
Le industrie del farmaco hanno fatto la loro parte producendo farmaci veramente efficaci, non solo per tenere a bada la glicemia, ma anche per la prevenzione delle complicanze cardiovascolari e renali. Anche per il tipo 1 si sono fatti passi in avanti giganteschi, grazie al miglioramento della tecnologia, ai cosiddetti sensori, che sono i dispositivi che misurano nelle 24 ore la glicemia, quindi in continuo, e anche ai microinfusori, che sono i dispositivi che erogano insulina; tra l’altro con la possibilità che i due sistemi, i sensori che valutano e i microinfusori che erogano insulina, dialoghino tra di loro. Quindi assistiamo ad un incremento esponenziale della patologia ma, d’altra parte, al grande sviluppo del farmaco e della tecnologia.
Purtroppo, comunque, ci troviamo oggi ad affrontare un problema enorme: se non si appronteranno misure di prevenzione, in grado di bloccare la malattia prima che si manifesti in coloro che sono suscettibili, nel 2030 avremo a livello mondiale 700 milioni di persone con il diabete.
D-. La malattia della società opulenta…
Buzzetti- . Non solo: ad esempio, in Cina, nelle grandi città ha raggiunto il 10-12% come prevalenza della popolazione, e questo ha rapporto con il cambiamento nell’alimentazione. Altre popolazioni asiatiche, ad esempio quella filippina, – abbiamo molti immigrati filippini in Italia – , modificano la loro alimentazione; si parla della cosiddetta coca-colonizzazione; bevono bibite magari contenenti zuccheri e più in generale, passando ad una alimentazione cui non sono abituati, ingrassano più facilmente. Uno dei paesi a maggiore prevalenza di diabete è l’ Arabia Saudita. Gli arabi 60 anni fa vivevano nel deserto e camminavano per giorni, magari senza mangiare. Oggigiorno hanno la ricchezza che proviene soprattutto dal petrolio, camminano di meno e possono consumare qualsiasi tipo di cibo altamente palatabile: anche lì la prevalenza è arrivata al 15-20% della popolazione.
D-. Professoressa, i 4 milioni di italiani che a diverso grado hanno un contatto quasi quotidiano con questa patologia, vivono un po’ in ombra: esistono ma non si vedono. È come se ci fosse uno stigma sociale, che ne fa parlare poco in privato. E nel posto di lavoro cosa accade?
Buzzetti-. In parte è vero. Parliamo soprattutto di diabete di tipo 2, quello che colpisce e interessa soprattutto l’età adulta ma che sempre più oggi si sta diagnosticando anche nei giovani, e addirittura, negli Stati Uniti, nei bambini. Da noi l’età media è 45-50 anni, ma l’insorgenza comincia a verificarsi anche in età più precoce. Ovviamente è un tipo di diabete che nella percezione generale si attribuisce al fatto di mangiare troppi dolci: te la sei cercata perché sei goloso, dunque. In realtà non è sempre così, perché c’è una suscettibilità genetica ad ammalarsi di diabete: anche a parità di peso, prendendo due soggetti obesi di 50 anni, uno si ammala di diabete e l’altro no, perché possono avere o meno insulino-resistenza, cioè la resistenza all’azione dell’insulina che è quell’ormone che viene secreto dal pancreas e che deve contenere i livelli di glicemia. Conta molto il fatto di avere un familiare o un genitore con il diabete. Malgrado questo, si è portati a colpevolizzare il soggetto con diabete di tipo 2, quello che colpisce il 90% dei malati. Così si genera uno stigma sociale, una percezione generalmente negativa. In realtà non si dovrebbe colpevolizzare nessuno, in quanto, come dicevo, gli stili di vita e l’alimentazione sono importantissimi, ma c’è anche una componente di natura genetica.
Per venire alla sua domanda, sul posto di lavoro noi come società scientifica cerchiamo di fare tanta formazione e informazione sulla prevenzione e contro lo stigma. Stiamo facendo moltissimo anche per il diabete di tipo 1. Ad esempio, nelle audizioni alla Camera abbiamo perorato la causa dei giovani atleti con il diabete tipo 1, affinché possano entrare nei corpi dell’esercito, della polizia, dei carabinieri, cosa che invece in questo momento in Italia non è permessa. Anche chi ha il diabete di tipo 1 può svolgere qualsiasi lavoro come tutti gli altri, ed essere persino un eccellente atleta a livello agonistico.
D-. In proposito l’esempio più classico proprio in questi giorni, in queste settimane, è il numero 3 del tennis mondiale che sta giocando contro gli italiani a Torino: Alexander Zverev che pur avendo un diabete di tipo 1 diagnosticato all’età di quattro anni, gioca benissimo, è un vero grande campione, anche se spesso, tra un game e l’altro, lo vediamo misurarsi la glicemia e in alcuni casi anche assumere insulina….

Buzzetti-. Vero, e questo dimostra che si può essere un atleta di grande spessore anche se, durante un incontro di tennis, si è “costretti” a misurare continuamente la glicemia. Personalmente seguo attivamente il tennis, l’ho giocato da ragazza, ed ho continuato a giocare. Ovviamente da italiana tifo per Sinner e per Musetti, ma se qualche volta vince Zverev mi fa estremamente piacere, perché so perfettamente le difficoltà che ha passato e che incontra quotidianamente. Zverev è la dimostrazione vivente che si può essere atleti a quel livello pur avendo il diabete tipo 1 dall’età di 4 anni, e dovendo con continuità controllare la glicemia. Grazie alla tecnologia attuale che ha fatto passi da gigante è possibile fare qualsiasi sport a livello agonistico anche avendo il diabete di tipo 1. Come società scientifiche abbiamo istituito delle borse di studio per atleti diabetici. Due di questi sono stati campioni italiani ed europei di atletica.
D-. Quindi non è una patologia di cui vergognarsi…
Buzzeti-. Assolutamente no, è una patologia con cui si può convivere con una elevata qualità di vita; certo è necessario un controllo quotidiano e attento, ma non va “nascosta”, al contrario la si deve far presente agli altri. Talvolta vediamo in difficoltà i ragazzi nel momento della diagnosi, ma poi di solito si riesce a raccontarla agli altri, agli amici, e ciò aiuta a conviverci meglio e, quindi, a seguire più attentamente una terapia insulinica appropriata, sia con le penne iniettive che con i microinfusori. Esistono poi tante speranze anche per l’immediato futuro, perché la ricerca sta andando avanti in maniera rapidissima. Abbiamo il trapianto di beta cellule che è rimasto fermo per molti anni, ma che adesso sta dando nuove speranze. Abbiamo anche farmaci che possono prevenire il diabete di tipo 1 nei soggetti a rischio, o quantomeno dilazionarne l’insorgenza: prospettive molto positive per l’immediato futuro.
D-. Parlavamo prima di vergogna e di stigma sociale, entrambe fuori luogo . Ma essendo il diabete una patologia subdola che non produce sintomi prima di intaccare severamente il funzionamento dell’organismo, forse chi arriva a 40 anni o 50 anni senza aver mai fatto un prelievo del sangue, meriterebbe quantomeno una tiratina di orecchie…
Buzzetti-. Certo. La prevenzione è fondamentale; bastano delle semplici analisi del sangue, (glicemia, colesterolo, trigliceridi) che devono essere condotte in tutti i soggetti almeno a partire dai 30 anni e poi, effettuate regolarmente negli anni. E anche quando vi è negatività, nei soggetti che hanno patologie come ipertensione o casi di diabete o l’ipercolestrolemia in famiglia, vanno ripetute frequentemente. È fondamentale ripetere le analisi per diagnosticare preventivamente una cosiddetta disglicemia, cioè il prediabete. Per quello che riguarda diabete di tipo 1 abbiamo anche una legge del 2023, la 130, sulla predizione del diabete di tipo 1, che verrà implementata in quanto è di pochi giorni fa il provvedimento della conferenza Stato-Regioni per il quale in età infantile si può fare, ovviamente su base volontaria, il test per gli autoanticorpi per il diabete di tipo 1 e la celiachia, per identificare i soggetti a rischio. Il nostro è l’unico paese al mondo che ha una legge di questo genere sulla predizione del diabete di tipo 1.
D-. A proposito di record, ogni tanto positivi, questo è anche l’unico paese che ha riconosciuto per legge, poche settimane fa, l’obesità come specifica patologia, e sappiamo quanto il sovrappeso e l’obesità hanno a che fare anche con il diabete.
Buzzetti-. Certo, ed il riconoscimento di questa patologia rappresenta un passo in avanti importantissimo. Ora bisognerà lavorare perché le leggi non rimangano soltanto sulla carta, e ad esempio venga implementato nelle diverse regioni lo screening del diabete di tipo 1. Dopo la modifica del titolo quinto della Costituzione esiste infatti una grande autonomia regionale in ambito sanitario. C’è da sperare che in tutte le regioni si dia via all’applicazione anche della legge sull’obesità, con tutto ciò che comporta per la prevenzione delle complicanze e per l’utilizzo dei farmaci per l’obesità.
D-. Professoressa, la ringrazio molto per questa conversazione.

