di Alberto Baldazzi –  In queste pagine abbiamo più volte ribadito che le patologie tabacco-correlate producono un forte deterioramento della qualità della vita e circa 9 milioni di morti ogni anno (93.000 in Italia), rappresentando la maggiore causa di decessi evitabili nel mondo. Ciò rappresenta oramai un punto di partenza che mette d’accordo tutti e dal quale sarebbe demenziale discostarsi. Per fortuna bisogna riavvolgere il nastro fino agli ultimi decenni del secolo scorso per trovare gli epigoni del negazionismo che, sulla base di una presunta intangibile libertà individuale, ma anche dei finanziamenti delle major del tabacco, magnificavano il consumo di “bionde” e minimizzavano il loro impatto sulla salute dei fumatori.

    Da allora nella lotta al tabagismo qualcosa si è fatto. Le campagne di informazione ai cittadini e le misure varate in quasi tutti i paesi per limitare il consumo di tabacco hanno certamente prodotto degli effetti. In Italia nel primo decennio del nuovo secolo ai tradizionali strumenti di dissuasione incentrati sulle politiche fiscali (accise ed Iva sui prodotti del tabacco) si sono aggiunti il rafforzamento del divieto di pubblicità e di vendita ai minori, la difesa dal fumo passivo e lo stop al fumo nei luoghi pubblici, i warning sulla nocività riportati sulle confezioni delle “bionde” e alcune campagne di comunicazione pubblica.  Si calcola che queste misure abbiano prodotto all’inizio del secondo decennio la riduzione di circa 1 milione di fumatori, ma in seguito la loro efficacia si è esaurita, ed oggi in Italia vi una prevalenza tra la popolazione adulta di circa il 24% di fumatori: in valore assoluto 12.4 milioni di consumatori. L’obiettivo di medio periodo che si è data l’Unione europea di abbassare la prevalenza di fumatori al 5% entro il 2040, risulta dunque impossibile da avvicinare con le misure di salute pubblica attuali. Insistere sulla cessazione con l’unico strumento delle accise e con le campagne di dissuasione, si sta dimostrando una politica fallimentare. In un altro articolo abbiamo parlato dei limiti e delle contraddizioni delle politiche fiscali, soprattutto in relazione all’esplosione dei volumi di prodotti di contrabbando che si verifica nei paesi  dove la tassazione è particolarmente elevata. Votati alla sconfitta, dunque, o esistono altri percorsi ed altri strumenti da valorizzare nella lotta al fumo?

    La risposta è che questi percorsi alternativi esistono, e non sono stati prodotti dalle politiche sanitarie degli stati, ma dal mercato che nell’ultimo quindicennio ha visto l’impatto, prima timido, poi assai rilevante, dell’introduzione di nuovi strumenti per i fumatori adulti. Si tratta di modalità di consumo tra loro diverse, ma accomunate da un stesso principio: il superamento della combustione, ovvero il processo che bruciando tabacco produce migliaia di sostanze tossiche e cancerogene. Stiamo parlando dei vaporizzatori di liquidi con e senza nicotina attraverso le così dette sigarette elettroniche, e dei riscaldatori di stick di speciale tabacco: in entrambi i casi non viene inalato del fumo (prodotto della combustione), ma del vapore. In alcuni paesi, poi, sono tornati “di moda” prodotti senza tabacco a base di nicotina frammista a fibre vegetali e aromi che vengono assunti per via orale. Progressivamente, nell’ultimo decennio decine di milioni di consumatori hanno utilizzato questi nuovi prodotti per smetter di fumare o, quantomeno, per diminuire il consumo di tabacco combusto. Pur trattandosi di prodotti non esenti da rischi, la letteratura internazionale riconosce il loro “rischio ridotto” e la loro validità in logica di “riduzione del danno”. Su questo si vedano i nostri precedenti articoli (intervento del Dottor Delon Human, conversazione con il Professor Fabio Beatrice, intervista al Professor Riccardo Polosa, conversazione con Umberto Roccatti, Presidente Anafe-Confindustria).  Mediamente si calcola che i nuovi strumenti presentino un rischio ridotto in misura superiore al 90% rispetto alla sigaretta tradizionale, e sono molte le analisi e gli studi internazionali che li ritengono utili per la cessazione e/o la diminuzione del consumo di tabacco combusto.

    Di fronte a queste evidenze, però, il posizionamento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è assolutamente negativo. Premesso che il ruolo dell’OMS è e deve rimanere centrale per sovraintendere alla salute globale, in questo specifico settore la chiusura verso i nuovi strumenti risulta preconcetta e non corredata da analisi e dati scientifici e clinici. Addirittura, si può ipotizzare che per rispondere alla frustrazione che nasce dal sostanziale fallimento delle politiche anti-fumo, si scelga un nuovo obiettivo ritenuto più facilmente raggiungibile. Il vero nemico non è più, dunque, la sigaretta tradizionale che continua a mietere vittime e a devastare la salute di milioni di donne e uomini, ma il mercato che si apre sempre più ai nuovi strumenti e che conquista sempre più ex fumatori o fumatori che, alternando vecchi e nuovi prodotti, comunque almeno in parte si sottraggono alle sostanze tossiche e cancerogene prodotte dal fumo combusto.

    Malgrado le innumerevoli sollecitazioni che scaturiscono dalle  ricerche internazionali, e malgrado i risultati di contenimento del fumo ottenuti nei paesi con maggiore apertura al nuovo (Svezia, Gran Bretagna, Giappone, Nuova Zelanda), l’OMS rimane sulle sue posizioni: cessazione dal fumo attraverso il supporto farmacologico; campagne di dissuasione; strumenti quali il numero verde per i fumatori che voglio smettere e potenziamento dei centri anti-fumo; negazione del valore della “riduzione del danno”; politiche fiscale e divieti aggressivi verso i nuovi strumenti, equiparati al consumo del tabacco tradizionale. Inoltre, l’OMS si “scaglia” esplicitamente contro quei centri di ricerca che evidenziano il rischio ridotto, accusandoli di collateralismo all’industria del tabacco (anche quando i produtori non vi hanno nulla a che fare) e contro chiunque si esprima per il diritto del consumatore ad esserne informato.

    Le posizioni dell’OMS, come è giusto che sia, stimolano quelle delle diverse sanità nazionali, ma in questo caso confliggono con l’evidenza che via via si sta conquistando la riduzione del danno nella massa dei consumatori-fumatori, che sulla propria pelle, sui propri polmoni, ne riconoscono la validità. Ciò è almeno in parte riconosciuto dalla maggior parte dei governi che considerando il “rischio ridotto” che caratterizza i nuovi strumenti, vi applicano una fiscalità di vantaggio, ovvero accise più basse. In Italia questa valutazione è stata recentemente confermata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, con esplicito riferimento al minor danno che si lega ai nuovi strumenti. Dato che il Ministero della Salute rimane saldo sulle posizioni dell’OMS, c’è da chiedersi cosa si dicano i rispettivi responsabili nelle riunioni del Consiglio dei Ministri.

    Il quadro che abbiamo sopra brevemente tracciato è irto di contraddizioni, e se si fa riferimento alle normative vigenti nei diversi paesi, che vanno dalla forte apertura alla rigida chiusura verso i nuovi strumenti, si ingarbuglia ulteriormente. E questa matassa ingarbugliata nei prossimi giorni, dal 17 al 22 novembre, sarà sul tavolo ginevrino della Cop 11, ovvero della undicesima riunione della Convenzione delle Parti per il Controllo del Tabacco (FCTC) sotto l’egida dell’OMS. Ma non basta: nelle stesse giornate l’Ue presenterà l’avanzamento del dibattito interno sulla TED, la direttiva comunitaria sulle accise del tabacco. In un precedente articolo abbiamo sintetizzato come, qualche settimana fa, si presentavano gli schieramenti “in campo” sul tema dell’equiparazione della tassazione tra fumo tradizionale e nuovi strumenti che viene fortemente richiesta dall’OMS e, più in generale, sulle politiche antifumo.

    Ora, alla vigilia della settimana (forse) decisiva per l’elaborazione delle politiche antifumo per i prossimi anni, è opportuno aggiornale le posizioni. Sul fronte OMS nessuna novità, anzi: nel frontespizio del position paper fornito come base di dibattitto della Convenzione, quasi “inconsciamente” si mettono le mani avanti:

    Il rapporto tra tobacco control e harm reduction, ovvero la riduzione del danno, è affermato per essere subito dopo totalmente negato. Nel testo si chiarisce che la riduzione del danno legata ai nuovi strumenti non fa parte della cassetta degli attrezzi della sanità mondiale. Ribadite, poi, le posizioni di omologazione delle politiche fiscali tra tabacco combusto e nuovi strumenti e l’opposizione a qualsiasi ipotesi di loro valorizzazione nella lotta al tabagismo, con esplicito riferimento alla “sudditanza” di chi le esprime  verso gli interessi delle major del tabacco. In sintesi, più che di un posizionamento scientifico si deve parlare di una logica da crociata.

    Passando al dibattito delle ultime settimane interno alla Ue sul rinnovo della direttiva sulle accise sul tabacco, invece qualche cosa si è mosso. In un precedente articolo aveva segnalato i rischi insiti in alcune posizioni contenute nella bozza avanzata dalla Commissione in data 16 luglio, che   caldeggiava (come l’OMS) un forte aumento delle accise su tutti i prodotti, e la loro equiparazione tra tabacco combusto e nuovi strumenti. Da subito si erano levate critiche e alcuni paesi, tra cui l’Italia, ne avevano rigettato in buona parte sia lo spirito che la lettera. Quando, nelle scorse settimane, si è passati dalla Commissione al lavoro dei rappresentanti dei 27 stati, il testo originale è stato assai ammorbidito e, in alcune parti, rigettato. In particolare è scomparso il termine “divieti” relativamente all’area dei nuovi prodotti, così come l’obiettivo di uniformare “in alto” le aliquote tra tutti i paesi, e tra tabacco combusto e nuovi strumenti. Usando una sintesi giornalistica, nulla dovrebbe obbligatoriamente cambiare nelle politiche dei diversi stati su controllo del tabacco, accise e nuovi strumenti.

    Ora, dal momento che la Ue parlerà in sede Cop 11 con una sola voce, e che questa risulterà alquanto diversa da quanto l’OMS si aspettava, è possibile ipotizzare che, negli equilibri mondiali, l’Europa conterà parecchio e che, conseguentemente, la crociata dell’OMS sarà costretta a far rientrare i suoi vascelli in porto.

    Ma al di là delle curve da stadio, che poco si addicono alla gestione dei  temi attinenti alla sanità pubblica, c’è da augurarsi che per  un verso il mercato, per altro verso il progresso delle ricerche scientifiche e cliniche, siano in grado farci effettivamente avanzare verso un futuro, possibilmente,  senza fumo.

    ARTICOLO 32, agenzia di stampa iscritta in data 5 novembre 2025 al n. 116/2025 del Registro Stampa del Tribunale di Roma

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