di Luca Baldazzi – “Verso un’integrazione strutturata e sistemica delle cure domiciliari per i non autosufficienti in Italia“: questo il titolo di un interessante rapporto dell’OCSE, pubblicato il 14 novembre, che dipinge con toni gravi lo scenario dell’assistenza ai non autosufficienti nel nostro Paese. Quel che emerge è un quadro definito “troppo frammentato”, in cui anche le meritevoli attività prestate si dimostrano incapaci di venire incontro ad una domanda in forte crescita, la qual cosa si traduce in livelli di “intensità delle cure” tra i più bassi della zona euro.
Ma entriamo nel merito dei dati: nel 2023, il Ministero della Salute ha registrato più di 1.6 milioni di persone bisognose di assistenza ADI (Assistenza Domiciliare Integrata), di cui i “tre quarti relative agli anziani (65+)”. Numeri rilevanti, a cui il sistema dei servizi non riesce largamente a dare risposte. Sempre nel 2023 in media ogni anziano non autosufficiente bisognoso di ADI ha ricevuto appena 14 ore di assistenza (mediamente divise in 9 erogate da personale infermieristico, 3 da terapisti della riabilitazione e 2 da altri operatori). Queste ore corrispondono a 9 “accessi” – in media – per caso trattato, cui vanno aggiunti 2 accessi del personale medico: poco più di un’ora al mese, quindi. Sono cifre che fanno emergere uno scenario particolarmente divaricato tra le famiglie che possono permettersi di sostenere economicamente questi trattamenti più volte la settimana, e quelle che invece non possono farlo e che, conseguentemente, non ricevono alcuno aiuto.
Lo scenario così descritto si aggrava quando si proiettano questi dati nel futuro, che prevede entro il 2025 una quota di over 65 nel nostro Paese del 37%, di cui quasi la metà over 80. Tra le persone con più di 65 anni si registrano, in quasi un caso su 7 (13,7%), patologie che producono una limitazione delle ADI, con quasi 1 su 6 che si trova limitato anche nelle attività “strumentali” (15,9%).
La parola chiave sembra quindi una sola: accelerare sulla riorganizzazione dell’assistenza domiciliare, seguendo una specifica logica: una “ricomposizione” che preveda, piuttosto che un forte dirigismo accentratore, un migliore coordinamento delle pratiche già esistenti; non, quindi, una logica di “rammendo” con accordi o iniziative isolate da parte delle regioni.
Dagli stessi operatori professionali del settore, viene avanzata la richiesta maggiore sostegno a quelle centinaia di migliaia di cittadini definiti algidamente “caregiver informali”, ovvero ai familiari che sostengono quotidianamente l’assistenza ad un congiunto non autosufficiente e che avrebbero bisogno di supporto e di formazione. Infine, riconoscendo le molte eccellenze che l’offerta sociosanitaria presenta in alcune aree, ancora di più risalta lo stato di abbandono che caratterizza gran parte dei territori, e quindi l’esigenza di avanzare a livello nazionale politiche in grado di ridurre le disuguaglianze e garantire livelli minimi di assistenza in tutto il Paese.

