di Alberto Baldazzi.
In tempi di Legge di Stabilità si torna a parlare di aumenti dei prodotti del tabacco, e l’aspetto dei maggiori introiti fiscali (iva e accise) viene da alcuni coniugato, forse per pudore, con la lotta al fumo e alle politiche di sanità pubblica delle quali, nei primi 10 mesi dell’anno, si parla poco o punto. Per il 2026 i consumatori di sigarette, ma anche quelli di nuovi prodotti (tabacco riscaldato, liquidi e pod per le sigarette elettroniche) devono attendersi qualche ulteriore (moderato) aumento.
In premessa, e prima di scendere nel dettaglio, va ribadito che il fumo è un vero nemico della salute, che è causa in Italia di circa 93.000 vittime ogni anno e che rappresenta la prima causa di morti evitabili nel mondo (9 milioni). Conseguentemente sono apprezzabili tutti gli sforzi tendenti a ridurne il consumo, anche se ciò non significa che le politiche pubbliche messe in atto siano sempre efficaci. Vediamo quali sono e sono state quelle applicate in Italia, dividendole per categorie:
- divieti e campagne di comunicazione
- supporto socio-sanitario per la cessazione dal fumo
- leva fiscale
Sul primo aspetto a partire dall’inizio degli anni 2000 (Ministri della Salute Veronesi e Sirchia) si è fatto molto, ribadendo il divieto di consumo per i minori e quelli della pubblicità dei prodotti del tabacco, intervenendo sulla loro etichettatura con riferimento alla pericolosità, sulla difesa dal fumo passivo e, più in generale, con il varo di campagne di comunicazione pubbliche sugli effetti del fumo sulla salute. Il provvedimento più impattante è stata la Legge Sirchia del 2005, che ha introdotto il divieto di fumo nei locali pubblici. Nel primo decennio i risultati sono stati consistenti, e si è riscontrata una diminuzione di circa un milione di fumatori; successivamente, però, questo trend si è interrotto e relativamente all’anno 2024 l’Istituto Superiore di Sanità certifica una prevalenza di fumatori tra gli adulti pari al 24%: più di 12 milioni di italiani, quindi sono ancora fumatori.
Sul secondo aspetto, si deve purtroppo constatare che l’offerta socio-sanitaria è scarsa e assai inefficace, in quanto si risolve nella presenza su territorio di 223 Centri Antifumo (delle Asl o della Lilt, la Lega Italiana per la lotta ai tumori): un numero, per altro, in forte discesa. Si calcola che siamo strutture cui facciano riferimento poco più di 10.000 cittadini in media annua, e con un risultato di cessazione inferiore al 50%. Un po’ poco, dunque.
Venendo al terzo aspetto, la leva fiscale di cui si occupa il presente articolo, nel nostro Paese essa impatta mediamente (tra accise e iva) per più del 76% del prezzo del tradizionale pacchetto di sigarette, mentre il restante 24 % scarso è appannaggio dei produttori, dei distributori e dei dettaglianti. Sul prezzo finale del pacchetto di “bionde” più economico, che è di euro 5,50 lo Stato incassa dunque più di 4,18 euro. A partire dal gennaio 2026 la Legge di Stabilità attualmente all’esame delle Camere prevede un ulteriore innalzamento delle accise che si tradurrà in un aumento medio di 14-15 centesimi a pacchetto nel 2026 e di circa 60 centesimi nel triennio. Nel dettaglio, dopo i 14-15 centesimi del 2026, nel 2027 è previsto un nuovo rialzo più contenuto, nell’ordine dei 10-12 centesimi, mentre nel 2028 si aggiungeranno altri 12-13 centesimi. Sono previsti aumenti anche per i nuovi prodotti (sigaretta elettronica, tabacco riscaldato, bustine di nicotina), ma di questi ci occupiamo più vanti.
Il cittadino-consumatore italiano è da sempre portato a lamentarsi di questo Stato “esoso” che dal tabacco incassa mediamente 15 miliardi l’anno, e che si appresta ad incassare 1 miliardo in più nel prossimo futuro. Ma, una volta tanto, la sua condizione è migliore rispetto a quella di molti altri cittadini europei e non solo. Si consideri che, prendendo ad esempio una delle marche più iconiche (che non citiamo), l’attuale prezzo del pacchetto da 20 in Italia è di 6,5o euro, che nel Regno Unito sale a 15 euro (Edimburgo) e 16,90 (Londra), in Francia è di 13,20 euro, in Irlanda 16,80 euro, in Norvegia 13,60, in Olanda 9 euro. Allargando lo sguardo, in Nuova Zelanda il prezzo del pacchetto è di 18 euro, e in Australia addirittura di 26 euro. In altri paesi europei come Germania, Spagna, Grecia vengono praticati prezzi in linea con quelli italiani. Al contrario, in alcuni paesi dell’est Europa come la Bulgaria lo stesso pacchetto di sigarette può costare anche solo 1 euro.
E’ chiaro che queste abissali differenze dipendono solo in piccola parte dai differenti livelli del costo della vita, mentre l’elemento determinante risulta proprio la leva fiscale applicata nei diversi paesi per finalità di gettito e di contrasto al consumo. Ma la politica delle elevatissime accise funziona veramente? Assolutamente no, perché la realtà dimostra che quello che gli stati “guadagnano” nel mercato legale, viene compensato dalle minori entrate che derivano dallo sviluppo di quello illegale nel quale, ovviamente, non si applicano le accise e gli altri prelievi. Per altro verso, anche l’obiettivo della riduzione dei consumi si allontana, dato che il consumatore “illegale” incontra molte occasioni di coltivare la propria dipendenza ad un costo assai più contenuto (in genere meno della metà).
Dalla 19° edizione del rapporto sul contrabbando di tabacchi in Europa curato da KPMG e pubblicato lo scorso giugno, questi elementi emergono chiaramente. In Europa nel 2024 il record dei volumi di contrabbando di tabacchi spetta alla Francia, dove il 37,6% delle sigarette consumate sono illegali: più di un pacchetto su 3! L’Irlanda è buona seconda, con il 24,4%, l’Inghilterra segue con il 21,2%: si tratta di importanti paesi in cui, come abbiamo visto, il prezzo del pacchetto di “bionde” è molto più elevato.
Prima di passare alla situazione italiana, alcune considerazioni generali:
1- la combinazione “+ accise, + contrabbando”, che si sostanzia nel delta del prezzo tra prodotto tassato e prodotto illegale, non sembra preoccupare più di tanto questi stati, in quanto la forte tassazione assicura comunque entrate assai rilevanti
2- la miopia che caratterizza questa posizione è evidente se si riflette che lo sviluppo del mercato illegale diffuso su tutto il territorio finisce per inquinare la stessa quotidianità della vita di milioni di cittadini. Si tratta di un virus dell’illegalità che può infettare anche altre aree economiche e che foraggia molto spesso la criminalità organizzata
3- con il dilagare del contrabbando non si avanza nelle politiche tendenti alla cessazione e, inoltre, si lascia spazio a prodotti che, oltre che illegali, sono molto spesso contraffatti, ovvero più rischiosi per la salute del fumatore .
Venendo ora alla situazione italiana, grazie alle accise “moderate” e ad una filiera governata dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli che controlla rigorosamente tutti i passaggi dai produttori al consumatori finali, il contrabbando – storica ingombrante presenza nei primi decenni del secondo dopoguerra – è stato confinato e ristretto in percentuali irrisorie. KPMG calcola per l’Italia del 2024 una quota del solo 1,8%, in progressiva discesa negli ultimi anni: un ottimo risultato di cui si può fregiare il sistema-paese in tutte le sue articolazioni (Ministero economia e Finanze, ADM, Forze dell’Ordine, Magistratura, filiera della produzione e della distribuzione). Ma, paradossalmente, le politiche fiscali di paesi come l’Italia che generano un mercato accettabilmente equilibrato sono sotto attacco da parte della Commissione europea che, nella proposta di revisione della direttiva sul tabacco pubblicata lo scorso luglio, avanza la necessità di allineare “in alto” le accise dei singoli paesi, determinandone i livelli minimi e, inoltre, di applicarne di equivalenti anche ai prodotti che superano la combustione del tabacco e/o che con il tabacco non hanno nulla a che fare (riscaldatori di tabacco e sigaretta elettronica). Ciò rappresenterebbe uno tsunami in grado di scombinare gli equilibri attualmente esistenti nel mercato italiano, ed il nostro Governo lo denuncia apertamente. Esiste comunque il rischio che l’applicazione della nuova direttiva, che si interseca con la Conferenza delle parti sulla lotta al tabacco (Cop 11) che l’OMS terrà dal 17 al 22 novembre a Ginevra, sia votata a maggioranza dai paesi Ue, e le posizioni di chi come l’Italia la contestano sono in minoranza. Nei prossimi mesi ed anni, dunque, gli attuali equilibri potrebbero saltare perché il Paese sarebbe costretto ad adeguarsi alle nuove regolamentazioni.
Venendo poi ai nuovi prodotti “a rischio ridotto”, che molte ricerche scientifiche ritengono utili per diminuire l’impatto sulla salute del tabacco combusto e per la cessazione dal suo consumo, attualmente in Italia e negli altri maggiori paesi Ue godono di una fiscalità di vantaggio, ovvero di accise ridotte proprio in relazione alla loro minore pericolosità. Anche nel nostro Paese il mercato segnale una progressiva affermazione della sigaretta elettronica e del tabacco riscaldato, e molti osservatori confidano nella possibilità che i fumatori adulti che non riescono a smettere possano quantomeno “switchare” verso di essi. Il dibattito sulla “riduzione del danno” è oramai arricchito da moltissimi studi scientifici che considerano i prodotti “a rischio ridotto” lo strumento più efficace per combattere le patologie tabacco-correlate. L’equiparazione dei nuovi prodotti al tabacco combusto per ciò che riguarda le accise equivarrebbe ad una mannaia sul futuro della lotta al fumo,
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel contrastare la proposta Ue di nuova direttiva, oltre che difendere lil “tesoro” degli introiti fiscali consolidati (15 miliardi l’anno) e la felice condizione della pratica assenza del contrabbando, sta facendo sue le frecce all’arco della riduzione del danno, anche se nella Legge di Stabilità 2026 i nuovi strumenti non sono rimasti indenni dalle (moderate) politiche di aumento delle accise. Discorso diverso per l’altro Ministero direttamente interessato dalle politiche sul fumo: il dicastero della Salute, infatti, non valorizza le politiche di riduzione del danno (come fanno, ad esempio Svezia e Gran Bretagna); diciamo pure che, paradossalmente, non le prende in considerazione. Nella difesa degli assetti e degli equilibri oggi esistenti dal “ciclone ” nuova direttiva Ue, sarebbe buono che le due gambe del governo marciassero alla stessa velocità e nella stessa direzione.

