di Luca Baldazzi – Il contrasto alla Sindrome dell’Immunodeficienza Acquisita dovuta al virus dell’HIV, ossia l’Aids, non produce in Europa i risultati sperati. In concomitanza con la ricorrenza della 37° giornata mondiale contro l’Aids, che dal 1988 si celebra il primo dicembre di ogni anno, i dati diffusi dall’Oms e dall’European Center of Disease Prevention and Control evidenziano come i contagi per questa patologia (nei Paesi dell’Unione e dello Spazio Economico Europeo) rimangono sostanzialmente stabili.

    Nel 2024 i casi di infezione da Hiv registrati sono stati 24.164, con un un tasso di positività di 5,3 ogni 100.000 abitanti. Se queste cifre manifestano un lieve calo rispetto all’incidenza registrata negli anni passati (6,2 casi su 100mila nel 2015 e 5,6 nel 2023), lo stesso Rapporto OMS-ECDC mette in guardia da letture eccessivamente ottimistiche, e punta il dito su un problema evidente: la scarsa implementazione degli strumenti per le diagnosi precoci.

    Stando al rapporto, in media il 54% di queste diagnosi sono avvenute solo ad una fase già avanzata dell’infezione, quando il sistema immunitario della persona aveva già subito “danni significativi”. Questa media risente di differenze tra le nazioni europee (più casi nei paesi dell’Est rispetto a quelli occidentali), ma in misura assai più marcata dell’età del paziente: a sottoporsi alle analisi con forte ritardo sono assai più spesso gli adulti sopra ai 40 anni (più del 60%) rispetto ai giovani tra i 15 ed i 29 (meno del 40%). Ciò sembra dovuto ad una mancanza di campagne efficaci per sensibilizzare maggiormente la cittadinanza. Da qui il richiamo della Direttrice dell’Ecdc, Pamela Rendi-Wagner: “Dobbiamo innovare con urgenza le nostre strategie di testing, promuovere i test nelle comunità e l’autotest, e garantire un rapido accesso alle cure. Possiamo porre fine all’AIDS solo se le persone conoscono il loro stato”.

    Ad oltre 40 anni dalla sua comparsa, l’Hiv si conferma un virus che colpisce in maniera indiscriminata, e che si veicola prevalentemente attraverso rapporti sia tra persone eterosessuali che omosessuali. Le cifre parlano chiaro: delle 24.164 nuove diagnosi in Europa, il 48,3% è imputabile a rapporti sessuali tra uomini, mentre un 45,6% a rapporti eterosessuali, con un restante 5,8% attribuibili ad altri fattori. La diffusione predilige inoltre i contesti più vulnerabili, con il 55,7% dei casi di infezioni di Hiv diagnosticate nel 2024 relative a persone migranti, ossia nate fuori dal Paese di residenza.

    Più incoraggiante, nel complesso, lo scenario italiano, che secondo il Centro Operativo Aids dell’Istituto Superiore di Sanità per il 2024 registra 2.379 nuove diagnosi di Hiv, ossia 4 casi ogni 100mila residenti. Un dato anche qui in calo rispetto alle 2.507 diagnosi del 2023, ma che non deve far ben sperare. Le stesse criticità sollevate dall’Ecdc valgono per il nostro Paese: in Italia le diagnosi tardive sono al 60%, superiori alla media europea, mentre solo un 20% delle nuove diagnosi riguarda persone sotto ai 29 anni.

    A distanza di 40 anni dall’inizio di questa epidemia di Aids del mondo, avere dati così stabili non rappresenta una buona notizia“, illustra in questo intervento Cristina Mussini, Vicepresidente Simit (Società Italiana Malattie Infettive), sottolinenando come un’applicazione efficace dei sistemi di diagnostica avanzata e l’uso dei farmaci antiretrovirali dovrebbe portare ad una riduzione annua dei contagi assai più marcata.

    ARTICOLO 32, agenzia di stampa iscritta in data 5 novembre 2025 al n. 116/2025 del Registro Stampa del Tribunale di Roma

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