Di Alberto Baldazzi – Finito è il tempo in cui la farmacia si limitava “soltanto” a dispensare i farmaci ricettati (dal medico di base e/o da altri specialisti), a vendere farmaci da banco (per i quali non è necessaria la prescrizione), integratori, tisane, creme e prodotti cosmetici acquistabili anche in altri esercizi commerciali. Già dal 2020, quando il Covid 19 ha necessitato l’arruolamento diretto di migliaia di farmacie per le campagne vaccinali, queste strutture hanno acquisito un ruolo ancor più determinate quali presidi territoriali, assolvendo una funzione che è risultata essenziale.
La legge semplificazioni approvata nei giorni scorsi alla Camera tra le tante materie affronta all’articolo 60 anche l’ampliamento del perimetro di attività delle farmacie, che in Italia sono circa 20.000, riconoscendo ciò che i trend di mercato stanno già evidenziando. Ora potranno somministrare tutti i vaccini previsti dal Piano nazionale di prevenzione vaccinale, non solo quelli antinfluenzali e anti-Covid, a qualunque soggetto di età superiore ai 12 anni. Le farmacie divengono dunque presidi socio-sanitari integrati, rafforzando così un’offerta territoriale che mostra sempre più gravi carenze. Si ampia la possibilità di eseguire analisi di prima istanza, anche quando non rientrano nell’ambito dell’autocontrollo. Si allarga, poi, la così detta distribuzione per conto delle strutture sanitarie pubbliche, fino ad oggi limitata ai soli farmaci, anche ai dispositivi medici.
Un’ulteriore apertura è relativa all’offerta di test per il contrasto all’antibiotico-resistenza, un tema sempre più serio ed emergente. E, ancora, si potranno fare in farmacia anche i test di screening per l’epatite C, ma solo alla presenza di personale abilitato. Infine le farmacie potranno erogare servizi di telemedicina, nel rispetto delle linee guida nazionali.
Inoltre, nella direzione della semplificazione, il cittadino potrà scegliere il medico di medicina generale o il pediatra di libera scelta direttamente in farmacia (sempre che ne trovi uno in grado di prenderlo in carico, vista la carenza dei medici di base in molti territori).
Tutto bene, dunque? Staremo a vedere, perché se su un piatto della bilancia mettiamo gli elementi positivi sopra citati, sull’altro si deve prendere atto che il “perimetro” della sanità pubblica con queste decisioni si ridimensiona ulteriormente. Questa scelta discende probabilmente dall’accettazione degli attuali limiti dell’offerta sanitaria pubblica, e dall’impossibilità e/o dalla mancata volontà di ripristinare i livelli che anche in un recente passato il SSN assicurava. E’ vero che la nuova regolamentazione è sottoposta alla “clausola di invarianza finanziaria”, che stabilisce che le novità introdotte non dovranno comportare maggiori oneri per la finanza pubblica: e ci può stare. Ma per altro verso, queste aperture non sono “gratuite”. Infatti, la legge precisa che gli screening e le vaccinazioni in farmacia non saranno gratuiti, come avviene nel pubblico, e quindi, le nuove opportunità di acceso saranno utilizzate solo da chi può permettersi di pagare. Una legge, dunque, che non impatta positivamente sui milioni di italiani che non sono più in grado di curarsi.
Inoltre, senza criminalizzare le legittime logiche del profitto, va segnalato che già oggi il business sanità fattura al di fuori dell’area sostenuta dal pubblico più di 43 miliardi di out of pocket, (dalle tasche dei cittadini), e di questi nel 2023 le farmacie ne assorbivano più di 12.
Infine, un’avvertenza: attenzione all’attendibilità dei test e delle analisi al di fuori del laboratori e delle strutture tradizionali. In alcuni casi in queste farmacia divenute anche “negozi della salute”, la loro accuratezza non è assicurata, e la loro necessità non scontata, in quanto “indotta” da un vero e proprio marketing di vendita (a chi può permetterseli).

